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I ricordi di Carlo Azeglio Ciampi per i dieci anni della Bce

di Carlo Azeglio Ciampi

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2 giugno 2008

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John Maynard Keynes ebbe a dire a proposito delle neonate istituzioni di Bretton Woods "there is scarcely any endurìngly successful experience yet of an International body which has fulfìlled the hopes of its progenìtors". Non è questo il caso della nostra istituzione, come non lo è per il Fondo monetario e la Banca mondiale.
Oggi l'Europa ha una moneta e una politica monetaria capaci di fronteggiare gli shocks, interni ed esterni. I prezzi sono stabili, come dal dopoguerra non era mai avvenuto. L'euro è una realtà affermata. E' la moneta di quindici paesi e di oltre 300 milioni di cittadini europei E' internazionalmente domandato. Condivìde col dollaro il ruolo di moneta di riserva.
La Banca centrale europea in questi dieci anni ha saputo conquistarsi il più ambito dei riconoscimenti per una banca centrale, quello della credibilità e dell'autorevolezza. Essa ha rappresentato in questi anni un riferimento di dialogo, equilibrio, pacatezza; ha costituito un esempio di fermezza, sempre disponibile al confronto e a rendere conto del proprio operato, mai disposta ad accettare imposizioni. Il solido impianto operativo di cui è dotata le consente - ne abbiamo esempi recentissimi - un adeguato governo della liquidità e del sistema dei pagamenti, in grado di impedire pericolosi arresti nei flussi che alimentano le "arterie del credito", dunque, l'intera economia.
Festeggiamo, quindi, un successo.
Ma è necessario procedere oltre.
La costruzione istituzionale dell'Unione europea deve arrivare a disporre dell'intera panoplia degli strumenti di governo dell'economia: di bilancio, dei redditi, delle strutture materiali e immateriali.
Una moneta solida e una politica monetaria efficace, anche perché attuata da una banca centrale autonoma nel perseguire una missione precisa, danno stabilità; prevengono e dissipano incertezze. Lo stiamo sperimentando. Non assicurano con la stabilità, né lo potrebbero, le ulteriori condizioni necessarie alla crescita economica.
Ne eravamo consapevoli - governi e banche centrali - quando creammo la Banca centrale europea e l'euro, tanto che contemporaneamente firmammo il Patto di stabilità e crescita.
In questo decennio la stabilità - ripeto - l'abbiamo conseguita, ma la crescita è stata insufficiente, in alcuni paesi dell'area addirittura deludente.
Certo di questo insuccesso sono responsabili inadeguatezze dei produttori, fallimenti dei mercati, ma in larga misura ne sono responsabili i limiti istituzionali che una politica economica comune ancora oggi incontra.
Occorre che l'Europa si dia un governo dell'economia capace di promuovere la crescita del reddito, una sua più equa ripartizione, migliori opportunità di occupazione.
L'auspicabile prossima entrata in vigore del trattato di Lisbona, renderà più agevole il compito delle istituzioni comunitarie a ciò proposte e tutelerà meglio l'insieme degli interessi europei. Il consolidamento delle istituzioni favorirà anche il dialogo con la Banca centrale europea; potranno così dispiegarsi appieno gli effetti positivi della dialettica tra politica monetaria e politica economica.
Le fonti primarie della crescita sono l'accumulazione del capitale, l'efficienza e il progresso tecnico. Ma vi sono determinanti altrettanto fondamentali, prima fra tutte un sistema di imprese innovative e di mercati concorrenziali. Le determinanti su cui la politica economica più direttamente incide vanno ravvisate, oltre che in una finanza pubblica equilibrata e in servizi pubblici funzionali, in infrastrutture materiali e istituzionali calibrate su una dimensione europea.
Su questi punti cruciali è chiamata ad agire una politica economica europea che non si limiti al necessario rigore nei saldi di bilancio, ma pratichi anche un crescente coordinamento delle politiche economiche nazionali.
Senza stabilità non può esservi crescita; è altrettanto vero che alla lunga la stabilità diviene precaria se la crescita manca o è inadeguata rispetto alle potenzialità dell'area.
L'aumento della produzione e della produttività, la pronta riallocazione delle risorse, la forza creatrice dell'innovazione frenano i costi e i prezzi, ancorano le aspettative, avvalorano i corsi dei titoli, rendono onorabili i debiti.
Senza crescita non può esservi durevole stabilità, né monetaria, né reale.
In una economia stagnante la distribuzione del reddito, della ricchezza resta o diviene iniqua. La sperequazione distributiva inasprisce le tensioni sociali che minano tanto la stabilità quanto l'avanzamento dell'economia.
La presente crisi finanziaria, scoppiata nelle economie anglosassoni, ha turbato i mercati internazionali, lambendo i sistemi bancari dell'Europa continentale. Le banche centrali stanno gestendo con saggezza la liquidità e le autorità di vigilanza stanno prevenendo il contagio dei casi di insolvenza. Ciò dà fiducia nel superamento della crisi stessa. E, tuttavia, questa diffìcile esperienza richiama l'Europa alla urgenza di rafforzare ulteriormente le difese già allestite. In particolare, la cooperazione fra autorità di vigilanza e di queste con le autorità monetarie deve essere resa ancora più stretta, quotidianamente operativa. La creazione, anche in questo campo, di organismi comunitari va presa in seria, pragmatica considerazione.
  CONTINUA ...»

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